Investire in coesione sociale aiuta lo sviluppo economico? La domanda non è oziosa specie per quanti operano nel sociale e si dedicano ad accrescere la coesione, il collante che lega gli agenti della società, cittadini e istituzioni. Quest’attività di promozione, oltre ad avere meriti intrinseci, oltre a infittire i legami tra le parti dell’organismo sociale irrobustendolo, ha pure ricadute sulla crescita economica? Non è facile rispondere. Bisogna in primo luogo definire che intendiamo per “coesione sociale”, quali sono i suoi ingredienti, come s’identificano. Poi possiamo discuterne gli effetti sullo sviluppo dell’economia.

La coesione sociale a prima vista è un oggetto misterioso. Un voluminoso Rapporto italiano sulla coesione sociale, il terzo di una serie annuale, preparato e reso pubblico nel 2012 dall’Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale), dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dall’Istat (Istituto nazionale di statistica), non aiuta a identificare il fenomeno nel caso dell’Italia. I 20 grafici che compaiono e sono commentati nel primo volume del Rapporto e le quasi 500 tabelle analitiche (481, per l’esattezza) che sono riportate nel secondo volume, offrono una vasta documentazione sulla struttura e sulla dinamica della popolazione italiana, sul contesto economico, sul mercato del lavoro, sulle famiglie (capitale umano, tempo di lavoro e cura della famiglia, salute, disabilità, povertà, mobilità), sulla spesa sociale, sulle politiche attive del lavoro, su previdenza e sostegno al reddito, sui servizi sociali. Finita la lettura dei due volumi, riposiamo gli occhi colpiti da questa imponente massa d’informazioni e rimane ancora irrisolta la domanda: ma cos’è la coesione sociale qui da noi, in Italia?

Piuttosto che addentrarci in un raffinato e forse inutile esame dell’origine e dell’evoluzione storica del concetto, serviamoci di una definizione e di una misura pragmatica del fenomeno osservando più Paesi. Recentemente (luglio 2013) una Fondazione tedesca, la Fondazione Bertelsmann, ha definito, misurato e confrontato la coesione sociale in 34 Paesi, 27 dei quali sono i membri dell’Unione europea (prima della recente accessione della Croazia) e altri 7 sono membri occidentali dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), cioè Australia, Israele, Canada, Nuova Zelanda, Norveglia, Svizzera e Stati Uniti.[1] Il lavoro degli studiosi impegnati dalla Fondazione Bertelsmann è da loro stessi definito un radar sulla coesione sociale, cioè uno strumento capace d’individuare ciò che non si vede a occhio nudo. Il termine coesione sociale riguarda, a loro avviso, “come i membri di una comunità, geograficamente individuata, vivono e lavorano insieme”.

Secondo il Rapporto Bertelsmann, una società coesa è caratterizzata: a) da forti relazioni, cioè da reti orizzontali che esistono tra gli individui e i gruppi all’interno della società; b) da connessioni, intese come legami positivi tra i singoli, il loro paese e le sue istituzioni; c) dalla messa a fuoco del bene comune, vale a dire azioni e attitudini dei membri della società che dimostrano la responsabilità verso gli altri e per la comunità nel suo insieme.

Ciascuna di queste tre sfere è a sua volta articolata in tre dimensioni.

La sfera delle relazioni si articola in reti sociali, fiducia nel prossimo, accettazione della diversità (intesa come approccio costruttivo alla diversità, solidarietà radicata nella diversità e nella reciproca interdipendenza tra singoli e gruppi, sia pure distinti sotto il profilo culturale, etnico o religioso).

La sfera delle connessioni si articola nell’identificazione col paese d’appartenenza, nella fiducia assegnata alle istituzioni politiche e sociali, nella percezione dell’equità distributiva, cioè di quanto sia equa la distribuzione della ricchezza tra i membri della società.

La sfera del bene comune si articola nella solidarietà e nell’aiuto reciproco, nel rispetto delle regole sociali, nella partecipazione alla vita sociale e politica e alla discussione pubblica.

Questi nove caratteri della coesione sociale sono stati esplorati dalla Fondazione Bertelsmann ricorrendo a una ricca messe d’informazioni, di dati direttamente disponibili e d’informazioni derivate da dati elementari, con un’analisi di lungo periodo, per quasi 25 anni, dal 1989 al 2012, distribuiti in quattro sottoperiodi corrispondenti a fasi distinte della vicenda politico-sociale caratterizzanti il quarto di secolo esaminato. I nove indicatori costruiti sono stati infine riassunti in un indicatore sintetico di coesione sociale e i 34 Paesi esaminati sono stati assegnati a cinque gruppi, ciascuno contraddistinto con un colore. Il colore più marcato (blu scuro) individua i Paesi caratterizzati dalla più alta coesione sociale, che risultano essere Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svezia, Nuova Zelanda e Australia. I colori più tenui, dal blu meno marcato al blu leggero al giallo e fino all’arancione, individuano i Paesi con coesione sociale via via decrescente. In questa graduatoria l’Italia per l’intero periodo esaminato compare segnata col colore giallo, cioè nel gruppo di quarta fila, seguita nel gruppo di quinta fila (colore arancione) da Lituania, Lettonia, Bulgaria, Grecia e Romania, Paesi che da quest’analisi risultano disporre della più debole coesione sociale.

La Fondazione tedesca si sofferma soprattutto sulle cause del fenomeno coesione sociale e dice poco sui suoi effetti. Per i 34 Paesi esaminati sono calcolati alcuni coefficienti di correlazione statistica tra possibili cause e risultati ottenuti in termini di coesione. I coefficienti di correlazione sono molto alti per i fattori economici: per il prodotto interno lordo (0,77) e per il tasso di disoccupazione (-0,51), in entrambi i casi con elevati livelli di significatività statistica; per la disuguaglianza nella distribuzione del reddito (-0,57) ma in questo caso con minore significatività. Questi risultati dicono semplicemente che la coesione sociale è maggiore nei Paesi economicamente più ricchi, meno afflitti dalla disoccupazione e meno caratterizzati da disuguaglianza distributiva. Altre misure di correlazione offrono risultati che vanno nella stessa direzione. Ad esempio, correlando con la coesione sociale l’indicatore della conoscenza costruito dalla Banca Mondiale risulta che i Paesi caratterizzati da alti livelli d’istruzione, d’innovazione e con buone infrastrutture nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sono anche Paesi ad elevata coesione sociale. La modernizzazione, il progresso verso la società della conoscenza, insomma consolidano piuttosto che intaccare la coesione sociale.

Queste analisi non dicono nulla sugli effetti della coesione. Al più ne stabiliscono le cause. L’unica conseguenza della coesione sociale che viene misurata nel Rapporto della Fondazione Bettelsmann, è la soddisfazione nella vita come desunta dalle risposte fornite dai cittadini dei diversi Paesi esaminati: maggiore è la coesione sociale, maggiormente soddisfatta di conseguenza è giudicata dagli intervistati la vita. La coesione sociale, in breve, è sinonimo di felicità.

Se si ferma a queste conclusioni, l’osservatore che vorrebbe valutare quanto la coesione sociale contribuisce allo sviluppo economico, rimane con un pugno di mosche in mano. Oppure è portato a un’affermazione sconsolata del tipo: dedichiamoci a promuovere lo sviluppo con adeguate politiche economiche e ne raccoglieremo i frutti anche sulla coesione sociale, come dimostrano i casi dei Paesi scandinavi, della Nuova Zelanda e dell’Australia, Paesi che divenuti ricchi hanno raggiunto anche un’alta coesione sociale.

Un corollario pericoloso di quest’affermazione, è che politiche dirette alla coesione sociale sono nel caso di un Paese povero un lusso che non ci si può permettere, altre essendo le priorità da soddisfare in questo caso.

Una versione più cauta del nesso che lega coesione sociale a sviluppo economico, potrebbe essere infine che tra i due fenomeni c’è interdipendenza: lo sviluppo crea le condizioni per una maggiore coesione sociale la quale a sua volta promuove maggiore sviluppo. Insomma, tra i due fenomeni si ha una causazione circolare cumulativa, l’uno agendo positivamente sull’altro.

Negli ultimi tempi alcuni studiosi hanno attribuito un ruolo preminente alla qualità delle istituzioni nel promuovere e sostenere un vigoroso sviluppo economico. Una buona qualità istituzionale può essere ricondotta a sua volta all’esistenza di una forte coesione sociale.

Così Daron Acemoglu, esaminando i fattori che negli ultimi cento anni hanno promosso i più rilevanti cambiamenti tecnologici ed economici su scala mondiale, li ha attribuiti a istituzioni definite inclusive. Le istituzioni inclusive sono istituzioni economiche e politiche che offrono incentivi (come la tutela dei diritti di proprietà) e opportunità (quali l’assenza di barriere all’entrata e servizi e infrastrutture pubbliche di base che favoriscono la partecipazione di larghe quote di popolazione all’attività economica). Le istituzioni inclusive sono contrapposte da Acemoglu alle istituzioni estrattive, che estraggono ricchezza dalla maggioranza della popolazione a beneficio di una minoranza ristretta, perciò ostacolano l’esercizio dei diritti civili e con ciò il progresso tecnico e lo sviluppo economico.[2] L’inclusività, cioè regole e norme contrarie alle discriminazioni, è un aspetto della coesione sociale.

Altri economisti hanno rintracciato nella coesione sociale, in particolare nella fiducia che i cittadini nutrono per i governanti, il fattore che facilita l’attuazione di riforme economiche, premessa per uno sviluppo più veloce. Le riforme comportano infatti nel breve periodo perdite per alcuni cittadini, che saranno compensati con guadagni nel lungo periodo. L’esistenza di rapporti di fiducia tra popolazione e governanti facilitando la percezione di tali compensi aiuta a realizzare le riforme e a ottenere perciò migliori risultati economici.[3]

E’ stato pure studiato il ruolo che la dimensione socio-istituzionale svolge nella crescita economica. L’inclusione sociale e l’efficienza delle istituzioni locali influenzano nel caso italiano la crescita economica delle diverse regioni. In particolare le regioni del Mezzogiorno sono penalizzate dal cosiddetto filtro sociale che ostacola in queste regioni la diffusione territoriale delle innovazioni riducendo la crescita economica.[4]

Queste analisi in sostanza rintracciano gli effetti positivi trasmessi dalla coesione sociale allo sviluppo economico attraverso le istituzioni che caratterizzano una società coesa, priva di grandi fratture e contrapposizioni, capace quindi d’incorporare soggetti diversi rendendone compatibili e fruttuosi talenti e aspirazioni.

Va poi osservato che le analisi degli economisti che partono dalla coesione sociale, arrivano a istituzioni favorevoli allo sviluppo e misurano gli effetti di queste istituzioni sulla crescita economica; è un’analisi sofisticata, condotta con l’impiego di modelli statistici ed econometrici assai raffinati. Personalmente questi lavori non mi entusiasmano perché vi trovo una sproporzione tra strumenti utilizzati e risultati ottenuti, come sarebbe il tentativo di schiacciare una noce usando un potente martello pneumatico.

Più utile, capace di arricchire la conoscenza degli effetti che la coesione sociale trasmette allo sviluppo economico, sarebbe seguire un altro percorso. Si tratterebbe di selezionare una lista di progetti realizzati nel Mezzogiorno, ad esempio alcuni tra quelli sostenuti finanziariamente da un’istituzione come la Fondazione CON IL SUD. I progetti sarebbero esaminati per l’impatto diretto (se ne hanno avuto) sulle variabili economiche del territorio di destinazione, specie sull’occupazione di lavoro, e per l’impatto su grandezze qualitative come i rapporti di fiducia tra i partecipanti alla realizzazione dei progetti, la diffusione della cultura della legalità e dei valori di convivenza civile, il miglioramento delle istituzioni locali, che hanno effetti indiretti sullo sviluppo economico.

Di particolare interesse paiono i progetti finanziati dalla Fondazione CON IL SUD e rivolti a quei soggetti come i carcerati, gli immigrati e gli anziani non autosufficienti, soggetti che sono solitamente considerati “scorie sociali”, bisognosi di assistenza, quindi da sostenere per ragioni umanitarie e dai quali l’economia può trarre vantaggi modesti se non nulli. La valutazione dei ritorni economici derivanti dagli interventi a favore di questi soggetti, può portare a sorprese.

L’analisi e la valutazione dei progetti sostenuti dalla Fondazione CON IL SUD, svolte utilizzando i documenti d’archivio, possono essere eventualmente arricchite con un lavoro di ricognizione diretta dei risultati ottenuti, condotta sul campo.







[1] Bertelsmann Stiftung, Social Cohesion Radar, Measuring Common Ground. An international comparison of social cohesion, Guetersloh, Germany, 2013

[2] D.Acemoglu, The world our grandchildren will inherit: the rights revolution and beyond, National Bureau of Economic Research (NBER), Working Paper Series, n.17994, april 2012.

[3] W.Easterly, J.Ritzan, M.Woolcock, Social cohesion, institutions and growth, Center for Global Development, Working Paper n.94, august 2006.

[4] G,d’Agostino, M. Scarlato, Innovation, socio-institutional conditions and economic growth in the italiani regions, Social Science Research Network (SSRN), september 2012.