Ragionare di “Ambiente e Sviluppo” con specifico riferimento al fine vita dei prodotti, i rifiuti, è tema che divide da tempo ambientalisti ed economisti. Le cose di cui noi ci disfiamo, possono divenire opportunità per la crescita oppure la nostra attenzione massima si deve dirigere verso i principi di precauzione per la salute dell’uomo e tutela dell’ambiente? A mio avviso, semplificando, il tema resta di carattere fortemente interdisciplinare: scelte  di economia pubblica, politiche integrate del territorio, decisioni di politica industriale devono integrarsi per raggiungere obbiettivi di soddisfazione collettiva.

Come spesso accade, la riflessione è fortemente condizionata da slogan e banalizzazioni come quella sui rifiuti zero, ma soprattutto deve essere elemento di preoccupazione la mancanza di conoscenze fondamentali sui rifiuti: cosa sono, quanti sono, che caratteristiche hanno, quando sono pericolosi. Il dibattito pubblico è influenzato, oltre che da posizioni “ideologiche”, anche dalla carenza di informazioni di base e scientificamente consistenti. Un esempio è il confronto italiano tutto concentrato sui rifiuti urbani (30 milioni di tonnellate) e assolutamente distratto sui rifiuti speciali (120 milioni di tonnellate).

Credo che per affrontare seriamente la questione sia necessario utilizzare il modello di crescita dell’economia circolare. I paesi sviluppati hanno seguito fino ad oggi un percorso di sviluppo lineare, basato sulla disponibilità infinita delle risorse, la crisi di questi anni ha dimostrato tutta la fragilità di questa impostazione. La strategia Europa 2020  è invece basata su una crescita sostenibile che minimizzi l’uso delle materie prime, allunghi la vita dei prodotti, favorisca stili di consumo attenti alla sostenibilità; questa impostazione, a differenza della teoria della decrescita più o meno felice, è indispensabile per affrontare la competizione globale dei prossimi anni.

La prima regola nella gestione dei rifiuti è non produrli! Le politiche di prevenzione riguardano tutto il ciclo di vita di un prodotto: la progettazione, la produzione, il consumo. Questo principio che è il primo della gerarchia comunitaria, viene  spesso citato nei convegni ma senza troppo convinzione. Ci sono voluti anni perche l’Italia adottasse un Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, sarebbe ora auspicabile che tutti i soggetti, enti locali, imprese, associazioni cooperassero perché gli obiettivi di prevenzione siano raggiunti. Molto si sta facendo sullo “spreco alimentare”, e sarebbe interessante analizzare i motivi per cui i progetti con certe caratteristiche (cooperazione tra soggetti diversi, soddisfazione di bisogni, neutralità della pubblica amministrazione) siano efficienti e efficaci. Ma moltissime sono le cose che si possono fare per la prevenzione: ne cito una semplice che potrebbe avere ripercussioni in tanti campi: vietare l’uso delle bottiglie di acqua minerale in plastica nelle grandi utenze pubbliche: ospedali, caserme, scuole.

La seconda regola della gestione dei rifiuti è fare in modo di allungare il ciclo di vita dei prodotti; molti oggetti di cui noi ci vogliamo disfare possono essere riutilizzati  da altri. Riuso e preparazione per il riutilizzo, sono termini tecnici che portano con sé regole autorizzative assurde: un’isola ecologica non può separare i rifiuti riutilizzabili da quelli da avviare al trattamento! Non credo sia molto complicato modificare questa norma ma da anni aspettiamo un decreto. In ogni caso poi ci pensa il mercato: con la crisi il numero e il fatturato dei mercati dell’usato è cresciuto notevolmente e soddisfa le esigenze di molti, ma gli operatori sono costretti a lavorare in una terra di nessuno: né rifiuti né prodotti. Mentre il pubblico non riesce ad intervenire, si sviluppano spontaneamente molte attività di riparazione e manutenzione che valorizzano competenze tecniche di molte filiere produttive. Il tema è anche all’attenzione delle imprese di produzione e distribuzione, molte hanno capito che la crescita del mercato dell’usato può essere complementare a quello dei prodotti nuovi.

Un terzo fattore di sviluppo del ciclo integrato dei rifiuti riguarda la promozione dell’industria del riciclo. I distretti produttivi italiani, in mancanza di materie prime naturali, hanno sempre valorizzato l’uso delle materie prime riciclate (il tessile abbigliamento a Prato, la carta a Fabriano). Oggi a partire dai sistemi produttivi locali, valorizzando il capitale umano (poli di ricerca e universitari), e  utilizzando validi sistemi di raccolta differenziata, si possono sviluppare veri e propri distretti del riciclo. I casi di Venezia per il vetro e di Pontedera per le plastiche sono la dimostrazione che l’industria del riciclaggio, anche grazie ai significativi processi di innovazione tecnologica, è in grado di confrontarsi nella competizione globale. L’uso delle materie prime riciclate ha un primo e vero risultato in termini di sostenibilità: la riduzione delle emissioni di CO2, la riduzione dei consumi energetici, il minore ricorso allo smaltimento in discarica. Quando si affronta il recupero di materia si deve considerare anche la filiera del riciclo organico. In Italia si sta sviluppando un’industria del compostaggio che ogni anno produce inoltre 1.300.000 tonnellate di fertilizzanti organici: un contributo allo sviluppo sostenibile che si è consolidato senza interventi  pubblici.

In estrema sintesi: informazioni corrette a disposizione di tutti, analisi basate sul ciclo di vita dei prodotti, politiche pubbliche non per trasferire risorse ma per semplificare le norme, attenzione infinita sul tema della legalità, responsabilità estesa dei produttori e nuovi modelli di consumo, sono elementi essenziali perche sia possibile coniugare sviluppo sostenibile, diritto alla salute, valorizzazione dei territori e delle risorse locali anche nel settore dei rifiuti.