Questo numero di Con Magazine propone riflessioni ed approfondimenti su un tema di particolare interesse ed attualità, quello delle questioni legate all’inserimento ed al lavoro dei migranti. Lo fa con pacatezza, sulla base di esperienze e di studi approfonditi. E di questo, con ogni evidenza, c’è gran bisogno.

C’è bisogno di comprendere i fenomeni nella loro reale portata; c’è bisogno di evitare semplificazioni e scorciatoie pericolose ed improduttive; c’è bisogno di recuperare una capacità di equilibrato discernimento nell’opinione pubblica, distratta e spesso strattonata da posizioni pregiudiziali, da strumentalizzazioni interessate e, soprattutto, dalla continua ricerca di “quotare” legittime preoccupazioni ed interrogativi al mercato “basso” della politica.

Il tentativo è quello di recuperare le giuste dimensioni del problema: un problema complesso, gigantesco che ha a che vedere con questioni planetarie come le spaventose diseguaglianze nelle condizioni di vita tra popoli; come le grandi differenze tra paesi con popolazione giovanissima e paesi invecchiati; con la stessa facilità di accesso alle informazioni che consentono comparazioni immediate e continue tra le condizioni di vita di diverse realtà del mondo. Queste innegabili circostanze porteranno, in ogni caso, milioni e milioni di persone a spostarsi.

Questo è il primo discrimine: da una parte il tentativo, certo non facile ed ovviamente non sempre lineare, di promuovere percorsi che abbiano un senso, una prospettiva, una logica; dall’altra la presunta certezza che si tratti di un problema facilmente risolvibile affrontato in una logica meramente emergenziale, con slogan efficaci e tranquillizzanti, ma palesemente “disperati”.

Certo in questa analisi pacata ed in questa umile ricerca di possibili percorsi, vi sono dal nostro punto di vista due punti fermi: il primo è che si tratta di un fenomeno inevitabile ed epocale che non sarà interrotto, ma solo forse momentaneamente “contenuto” con misure difensive, repressive ed improduttive di cui abbiamo avuto contezza in questi anni; il secondo è che il tema non può essere realisticamente affrontato se non si assume come vincolo ineludibile, il rispetto per la vita di esseri umani. Se questa attenzione, questa cultura ci fanno iscrivere di diritto alla categoria dei “buonisti” ne siamo sinceramente fieri. A noi sembra piuttosto che la vera contrapposizione non è tra “buonisti” e “cattivisti”. Ma tra realisti ed avventuristi.