Quando parliamo di paesi, non si può non rivolgersi a chi ne ha girati così tanti da averne fatto un mestiere. Franco Arminio si definisce infatti “paesologo”, ovvero esperto di una scienza particolare, la paesologia appunto, che unisce geografia, etnologia, storia, poesia. Un po’ vagabondo, un po’ poeta, attento osservatore e amante dei borghi italiani; lo abbiamo intervistato per capire se i paesi possono effettivamente rispondere all’emergenza abitativa del nostro paese, e nel frattempo – magari – condurci verso un modello socio-economico diverso, più lento e attento alle necessità degli esseri umani.

 

Viviamo un’epoca particolare in cui da un lato c’è un’emergenza abitativa costante in Italia e in Europa, soprattutto nelle grandi metropoli, dall’altro assistiamo allo spopolamento e abbandono dei paesi e delle aree cosiddette marginali. Come se lo spiega?

In effetti è qualcosa su cui ho riflettuto molto e continuo a riflettere. Penso che sia la somma di vari fattori sociali, politici, culturali. Sicuramente ci sono state alcune scelte politiche che hanno spinto il nostro Paese verso una certa direzione, un certo modello di sviluppo, penso ad esempio al modello Agnelli. Scelte che hanno centralizzato in poche aree le attività economiche e produttive marginalizzandone altre. Aree metropolitane, che inizialmente erano state pensate e progettate per numeri di persone molto minori e che quindi sono diventate scomode, disfunzionali, inadatte a far convivere nei loro spazi angusti milioni di persone. Poi però una buona parte del problema è a livello culturale. È come se nell’immaginario collettivo il paese avesse ancora qualcosa di poco attrattivo rispetto alla città, che invece è il luogo dove avvengono le cose. Insomma, parte del problema è nelle nostre teste: basti pensare a quanti napoletani si fanno tre ore di macchina la domenica per andare a mangiare a Sorrento in cerca di cucina e sapori tradizionali, senza sospettare che addentrandosi un po’ nell’entroterra campano troverebbero cucine anche migliori a prezzi molto più bassi senza dover fare lunghe code in macchina. Poi va anche detto che per fortuna in Italia le città restano ancora per la maggior parte vivibili: non abbiamo un problema abitativo così enorme e non siamo ai livelli delle metropoli cinesi che crescono a ritmi esponenziali. Da noi molte città stanno perdendo abitanti, per via dei prezzi alti. Certo, poi in molti vanno a vivere nelle immediate vicinanze, negli hinterland, che sono comunque città, quindi non cambia granché. Dovremmo fare questo ulteriore passaggio, questo cambio di mentalità, verso la montagna.

I paesi possono essere una soluzione ai problemi abitativi?

Sicuramente. I paesi offrono delle opportunità e una vivibilità che le città non offrono più. Ovviamente l’agricoltura riveste un ruolo centrale. Certo, è fondamentale che ogni paese abbia almeno i servizi essenziali al suo interno. Penso a scuole e ospedali: è chiaro che se per portare i miei figli a scuola devo fare chilometri e chilometri ogni giorno, o se per un’emergenza mi devono trasportare all’ospedale nella città più vicina diventa tutto molto più scomodo e disfunzionale.

Eppure la tendenza sembra essere quella verso un sempre maggiore accentramento dei servizi…

Già, si tratta appunto di modificare questa tendenza che troppo spesso prendiamo come un dogma. Non si riflette nemmeno più se sia una cosa conveniente o meno, quali siano i suoi pro e i contro. Si fa così perché si deve fare così. Ma chi lo ha detto? Il settore pubblico ad esempio può anche andare in perdita per garantire i servizi essenziali. Che poi se ci si riflette è una perdita solo apparente, a breve termine, mentre la vera perdita economica è proprio togliere tutti i servizi da un luogo: così facendo lo si trasforma in una specie di dormitorio dove restano solo persone anziane di cui lo stato deve comunque farsi carico, invece di avere un luogo anche produttivo, dove le persone restano a vivere, pagano le tasse e si sviluppa un’attività economica.

Cosa ne pensa di iniziative come quelle delle case a 1 euro?

Beh, dipende. Dipende dallo spirito con cui è portata avanti dall’amministrazione. L’idea in sé è interessante e se fatta bene può funzionare. Poi in realtà molte giunte la vedono come un’occasione per far parlare di sé, una trovata pubblicitaria in altre parole, senza una reale intenzione dietro, e allora perde molto di significato.

Ad ogni modo va detto che non è del tutto vero che i paesi si stanno spopolando, l’Italia è comunque molto viva all’interno, rispetto a tanti altri paesi dove questo processo ha effettivamente concentrato tutta la popolazione nelle metropoli. Da noi molti paesi sono ancora abitati, vivaci, pieni di persone e di iniziative.

In un’intervista si è definito contadino della desolazione. Se dai diamanti non nasce niente, dalla desolazione cosa nasce, se la si coltiva?

Vedi, anche la desolazione ha un suo fascino. Certo è diverso viverla quotidianamente rispetto ad osservarla da viaggiatore, come faccio io. Io ho imparato ad apprezzare il silenzio dei luoghi abbandonati, l’assenza. Ma posso permettermelo, ecco. Diversa è la situazione di chi questa desolazione la vive come un’imposizione, tutti i giorni. Che poi io vivo entrambi gli aspetti, perché vivo in un paese e viaggio fra paesi, quindi mi vivo sia la quotidianità che la scoperta.

“Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione” recita un verso di una delle sue poesie più conosciute, cosa vuol dire?

È il succo di tutto a mio avviso. Ci siamo lasciati trascinare in questo modello di sviluppo malato, che poi è il modello americano. Il modello della crescita, del consumismo. Ma è disfunzionale, deviato, che non ci rende più felici. L’attenzione è invece a mio avviso una delle caratteristiche principali di un modello differente, in cui si smette di correre e ci si ferma ad osservare, ci si prende cura degli altri e dei luoghi.

Sono i paesi il simbolo di questo differente modello?

Sì è esattamente questo il punto. I luoghi lasciati indietro da questo modello di sviluppo sono anche quelli dove si possono sperimentare cose differenti. Le città sono probabilmente compromesse, sono treni che corrono a velocità folle verso un muro. Nei paesi la velocità del progresso è ancora moderata, il treno è saldamente sui binari e c’è modo di fermarlo e fargli cambiare direzione.

 Andrea Degl’Innocenti