Quanto vale il lavoro manuale in un’epoca di sempre maggiore automazione dei processi produttivi? Qual è il senso dei mestieri d’arte ora che i processi industriali hanno reso tutto riproducibile all’infinito? C’è ancora spazio – e tempo – per la lentezza di un gesto accurato in un contesto in cui lo sviluppo tecnologico corre a velocità folle?

Per rispondere a questi e altri interrogativi abbiamo coinvolto chi dei mestieri d’arte in Italia ha una visione al tempo stesso ampia e profonda. La Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte infatti si occupa di monitorare, valorizzare e incentivare la diffusione dei mestieri d’arte sul territorio nazionale, con un occhio di riguardo verso le nuove generazioni. Una delle iniziative di maggior successo della Fondazione, il progetto “Una Scuola, un Lavoro. Percorsi di Eccellenza”, consente a ragazzi e ragazze che frequentano scuole di arte e artigianato di effettuare tirocini presso alcune fra le migliori botteghe d’arte.

Inoltre la Fondazione ha collaborato – assieme alla Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship e altre fondazioni – alla realizzazione della mostra “Homo Faber: Crafting a more human future”, in cui venivano messe in mostra non solo le opere di artigianato artistico ma anche il processo creativo, attraverso la presenza dei maestri d’arte all’opera nelle sale espositive.

Abbiamo intervistato Alberto Cavalli, direttore generale della Fondazione Cologni e co-direttore della Michelangelo Foundation.

Iniziamo da “Homo Faber”, la mostra sui mestieri d’arte che avete realizzato a Venezia. La mostra è stata un successo anche grazie a delle scelte espositive particolari. Come è nata l’idea?

La mostra è nata dall’idea dei due fondatori di Michelangelo Foundation: Franco Cologni, che è anche presidente della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, e Johann Rupert. I due fondatori coltivavano da anni l’idea di creare un evento speciale che valorizzasse tutto quello che le mani dell’uomo riescono a fare meglio di qualunque macchina. In un’epoca in cui l’alta manifattura è sfidata dall’intelligenza artificiale e dalla rivoluzione tecnologica, mettere al centro l’abilità del maestro d’arte significa ragionare non solo su un tipo di lavoro più umano e gratificante, che dia maggiore soddisfazione dal punto di vista dello sviluppo e della coscienza di sé, ma anche su un vantaggio comparativo importante per economie come quelle europee, che sulla produzione di massa sono meno competitive rispetto ad altre.

Quindi l’idea di “Homo Faber” è nata proprio per creare un movimento culturale di valorizzazione dei mestieri d’arte d’eccellenza in Europa: non si voleva creare né un salone, né una fiera, né un momento commerciale, ma proprio un momento di scoperta. Aiutare le persone ad entrare tanto nell’etica quanto nell’ottica e nella poesia di questo lavoro.

Qual è stato il segreto di questo successo?

Abbiamo puntato molto su concetti come l’autenticità: io credo che Homo Faber abbia anche avuto questo straordinario successo proprio perché tutte le storie meravigliose che abbiamo raccontato sono storie vere, autentiche. E poi c’è la poesia: aiutare le persone ad accogliere la raffinatezza, l’incanto non solo degli oggetti ma anche delle immagini e degli ambienti che permettono la nascita dell’opera creativa del maestro d’arte. È stato importante anche il fattore sorpresa: creare tutta una serie di percorsi, di allestimenti, che regalassero dei momenti di stupore e scoperta, cose oggi molto rare. Abbiamo raccontato storie vere cercando di renderle il più sorprendenti ed emozionanti possibili, e ciò si è rivelato un fattore di successo. Inoltre abbiamo moltiplicato i punti di vista chiamando  una serie di curatori che ci hanno aiutato a sviluppare i temi delle differenti sale: questo ci ha permesso di non essere mai ripetitivi o stucchevoli, visto che nelle differenti sale si incontravano ed incrociavano storie diverse: oggetti, immagini, video, artigiani al lavoro, momenti di interazione. Ogni sala è stato un incontro inaspettato ed autentico.

Ho letto che l’idea è di renderlo un appuntamento ricorrente…

Sì, vorremmo ripeterlo ogni due anni, quindi la speranza è di rivederci nel 2020.

Come accennava in precedenza, i prodotti artigianali non reggono il confronto sul mercato con quelli industriali a livello di prezzi e quantità. Su quali aspetti quindi possono puntare?

Per fortuna il mondo è grande e c’è abbondanza di domanda. Piuttosto un fattore urgente è fare in modo che coloro che cercano questi oggetti raffinati, pezzi unici o piccole serie, che ancora comunicano qualcosa e fanno battere il cuore alle persone – insomma gli oggetti realizzati dai maestri d’arte – sappiano dove trovarli. Io credo che muoversi in un’ottica di contrapposizione sia fuorviante: è chiaro che per produrre automobili in serie c’è bisogno della grande manifattura; ma chi vuole il mobile fatto a mano, il lampadario in vetro soffiato o l’elicottero personalizzato ha bisogno dell’opera del maestro d’arte. Ci sarà sempre spazio per una creazione meravigliosa, ma tutto questo necessita di un’importante opera di valorizzazione ed educazione. Il nemico del mestiere d’arte non è la tecnologia, è l’ignoranza. Se le persone non sanno riconoscere il valore delle opere, o non sanno dove trovare gli artigiani, tutto diventa più disagevole. La finalità di “Homo Faber” è stata anche quella di dare una piattaforma di visibilità importante a centinaia di maestri d’arte.

Fondazione CON IL SUD promuove un bando sull’artigianato nel Mezzogiorno. Com’è la situazione delle botteghe d’arte nel Sud Italia? Nel vostro database sono meno numerose che al Nord…

Noi cerchiamo di avere una presenza geograficamente equilibrata in Italia. Tuttavia, anche semplicemente guardando il numero delle scuole che formano artigiani di alto livello, sono molto più numerose al Centro-Nord che al Sud. Ed essendo le scuole a candidare i tirocinanti che poi noi selezioniamo per le esperienze nelle botteghe, è chiaro che nel Meridione ce ne sono meno. Questo fattore dovrebbe far riflettere sul fatto che l’investimento sulla formazione è molto importante. Anche al Sud ci sono ottime scuole, ma in numero  minore.

Nonostante questi aspetti deficitari pensa che anche al Sud l’artigianato possa essere uno strumento di riscatto sociale e di sviluppo economico?

Sicuramente sì: non solo perché sono rimaste vive tradizioni importanti, ma anche perché c’è un fattore turistico determinante. I visitatori che giungono nelle nostre splendide città del Sud, da Napoli, a Palermo, a Catania, a Bari, a Lecce, non cercano la chincaglieria standardizzata dalle origini incerte ed oscure; desiderano acquistare qualcosa di bello, autentico, raffinato. Qualcosa che parli il linguaggio della contemporaneità ma che sia anche espressione di un grande savoir-faire. Se si cerca un oggetto in corallo a Trapani o a Torre del Greco si vuole un oggetto che sia fatto da un grande artigiano. Sono pochi, forse, coloro che possono permettersi un oggetto di questo tipo, però ci sono. Capodimonte è un nome che fa sognare per l’idea della porcellana: sarebbe importante proseguire lungo il bel percorso che si sta avviando con il rilancio della Real Fabbrica di Capodimonte, e così via. Sicuramente il mestiere d’arte può offrire delle opportunità importanti, però bisogna lavorare su un’eccellenza riconosciuta: non si diventa maestri d’arte in qualche mese, ci vogliono tanti anni, e ci vuole anche una visione politica dei centri storici delle nostre città che valorizzi la presenza delle botteghe artigiane e non le costringa a chiudere per creare l’ennesimo negozio di chincaglieria o l’ennesimo ristorante.

Per concludere, qual è la situazione dei mestieri d’arte in Italia? Siamo ancora un’eccellenza mondiale?

In tutto il mondo c’è uno straordinario desiderio del meglio che l’Italia può offrire, dalla liuteria alla nautica, dalla moda al design. Tutti i settori in cui l’Italia è riconosciuta eccellente nella sua produzione sono settori dove la presenza dell’alto artigianato è fondamentale. Certo, non è facile perché non sempre è riconosciuto il ruolo dei maestri d’arte. È anche vero però che questo rappresenta un vantaggio competitivo importante rispetto ad altri paesi. E poi bisogna considerare che non esiste soltanto una crescita economica, c’è anche una crescita personale. Il vero segreto del benessere è essere felici di quello che si fa e in questo sicuramente i maestri d’arte hanno tanto da insegnare alle giovani generazioni.

Andrea Degl’Innocenti