Un miliardo e 600 milioni di bambini/e e ragazzi/e nel mondo hanno interrotto la  scuola[1].

È la prima volta nella storia. I più penalizzati, ovunque, sono i bambini poveri, per i quali la scuola è la principale leva di riscatto economico, sociale, culturale.

In Italia hanno interrotto la scuola 9.040.000 bambini/e e ragazzi/e e oltre 1 milione di bimbi/e dei servizi educativi della prima infanzia.

Vi sono tre conseguenze drammatiche:

sono fermi i principali presidi di cittadinanza della Repubblica. Infatti le scuole – ancor più in ogni periferia e quartiere povero come nelle zone interne – sono i primi garanti dell’articolo 3 della Costituzione perché promuovono lo sviluppo di conoscenze condivise attivando la prossimità e la cooperazione tra uguali ma diversi, la legalità e il presidio delle regole e dei limiti per tutti, l’inclusione di bambini/e e ragazzi/e stranieri e con bisogni speciali entro la comunità dei pari, il supporto alle fragilità di ciascuno, la tenuta del sistema complesso di relazioni solidali tra coetanei, tra generi, tra generazioni. Il venir meno di questa vasta rete di vita civile, nelle scuole e intorno alle scuole, indebolisce fortemente la coesione sociale e territoriale, soprattutto nei luoghi dell’esclusione;

aumentano le disuguaglianze tra scuole, tra classi, tra bambini perché la scuola “dematerializzata” fa i conti con l’evidenza che le disuguaglianze corrono anche su internet [2]. Insieme alla questione dei device e della connettività che ministero e scuole stanno provando a superare insieme a comuni, forze dell’ordine, protezione civile e spesso grazie all’aiuto del terzo settore, sta facendo la differenza avere o non avere i genitori in casa (molti sono al lavoro), con reddito conservato o, viceversa, particolarmente oppressi per incremento di povertà e mancanza di cibo o che sanno o meno parlare l’italiano o che vivono o no in un campo (rom, sinti, caminanti); fa certamente la differenza possedere o meno un pc o un tablet con connessione e byte pagati ma anche che qualcuno a casa sia capace di fornire assistenza nell’utilizzo delle piattaforme e potere studiare in una postazione adeguata, con una porta da chiudere e in spazi accettabili;

viene meno un luogo unico per poter elaborare – insieme ai coetanei e con l’accompagnamento di adulti esperti e significativi – le difficoltà, spaesamenti e paure e anche le capacità di reazione di un’esperienza nuova per l’umanità intera, che in Italia non ha pari dal 1945 e che sarà ricordata come un passaggio decisivo della vita dai bambini e ragazzi che lo stanno vivendo[3]. Avere o meno possibilità di parola con gli altri sta facendo la differenza e chi è escluso anche dalla circolarità a distanza rimane indietro non solo negli studi.

Al tempo stesso, sono presenti scenari positivi, che evidenziano le potenzialità reattive di chi si occupa di educazione:

il Ministero dell’Istruzione ha costruito un’applicazione dell’art. 120 del DPCM del 17 marzo applicando il principio di discriminazione positiva e che ha vere possibilità di raggiungere tutti/e ma che va accompagnato da una sapiente azione integrativa che solo il terzo settore sa fornire appieno;

molte scuole, molti docenti sono attivi a distanza e lavorano in autonomia per raggiungere i propri alunni, anche quelli in difficoltà per ragioni di fragilità sociale, culturale, personale. Stanno riannodando le comunità di apprendimento e la circolarità di studio tra docenti e ragazzi e tra ragazzi, in grandi e piccoli gruppi, in assetti diversi dalla lezione frontale, usando una pluralità di app e di approcci organizzativi per creare apprendimento da casa, con un tasso alto di innovazione, non solo legato all’uso di device o della rete ma alla didattica e agli assetti relazionali. “Una pausa lunga e dai confini incerti proietta le scuole dentro una dimensione totalmente sconosciuta… La scuola digitale ha fatto un balzo in avanti e competenze prima confinate a piccoli gruppi di docenti pionieri sono state rapidamente messe a disposizione della generalità della comunità scolastica, con interessanti processi collaborativi e generativi. La scuola dematerializzata ha dovuto fare senza quell’arma spuntata e a doppio taglio che per tanto tempo ha usato: il contenimento”[4]. Senza il contenimento nello spazio fisico, nel controllo diretto, nel giudizio, molti docenti stanno ampliando l’uso della motivazione e curando di più e meglio la relazione educativa. Questo sta spingendo molti anche a dedicare tempo ad agganciare tutti i bambini e ragazzi, anche quelli più a rischio di esclusione. Inoltre, in questa situazione, che vede settimane di convivenza forzata tra genitori e figli, spesso i genitori comprendono meglio i docenti rispetto alla stagione dei conflitti docenti/genitori, anche nei contesti difficili. Certo, non tutte le scuole e i docenti stanno prendendo questa strada. Molti, purtroppo, pensano a questa situazione come a una mera parentesi da chiudere presto per riprendere come prima, assegnano compiti a casa, sono fermi alla sequenza lezione/assegno/controllo/giudizio e non sono impegnati a raggiungere tutti;

la lotta alla povertà educativa minorile sta continuando nonostante condizioni molto difficili. Stanno sorgendo ovunque esperienze, attività e proposte per raggiungere bambini e ragazzi nelle vaste aree dell’esclusione. Oltre a tanti docenti che lavorano ben oltre il tempo contrattuale, reti di parrocchie e doposcuola, docenti in pensione, è impegnato tutto il mondo dell’attivazione civica, sociale ed educativa, i comuni, le fondazioni, gli scout, la rete dello sport, le grandi organizzazioni della solidarietà, le istituzioni e agenzie pubbliche e private che nel tempo hanno lavorato all’innovazione nell’uso degli ICT a scuola e della didattica a distanza, molte imprese, privati, volontari. In particolare, le alleanze che da più tempo hanno saputo consolidare progressivamente partenariati tesi allo sviluppo educativo locale in quartieri difficili stanno mostrando una capacità speciale di contrastare le disuguaglianze aggravate dalla situazione. Sono comunità educanti già strutturate, fondate su partenariati – in particolare quelli creati grazie al fondo per la lotta alla povertà educativa minorile – tra scuole, agenzie del terzo settore, comuni, esperienze di sport, teatro, musica, arte, ecc. Si stanno mostrando capaci di mobilitare più figure professionali insieme, cooperare con le famiglie e raggiungere ogni bambino/a e ragazzo/a grazie a rapporti di fiducia costruiti tra scuola e fuori scuola, risolvendo, a tal fine, i problemi tecnici, relazionali, organizzativi.

È di decisiva importanza, oltre ad assicurare davvero device e connettività a tutti:

ampliare le risorse in dotazione al fondo per la lotta alla povertà educativa minorile estendendo le possibilità di creare partenariati territoriali secondo i modelli messi in campo dall’impresa sociale Con i Bambini e, così, di affiancare presto educatori del privato sociale agli insegnanti nell’azione complessa necessaria per creare e manutenere le relazioni tra scuole e ragazzi/e;

affrontare bene la fine del presente anno scolastico e il tema delle valutazioni, considerando con cura la difficoltà e novità della situazione che docenti e ragazzi vivono. Vi è la possibilità di forme di riconoscimento della crescita umana che questa esperienza rappresenta per questa generazione, per l’insieme delle maturazioni che ha suscitato. E vi è l’opportunità di un tempo disteso dedicato al recupero del programma. Tutto questo consiglia fortemente di optare per una moratoria sulle bocciature e per un’azione di recupero che possa comprendere anche il prossimo anno scolastico, evitando una penalizzazione inaccettabile dei ragazzi più deboli.

 

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[1]Unesco, 27 marzo 2020

[2]Se è vero che i minori italiani sono iper-connessi (il 95% di loro ha accesso alla rete e una grande maggioranza ne fa un largo uso giornaliero) la qualità della connessione e il tipo di esperienze online sono profondamente diseguali secondo tutti gli studi disponibili.

[3]Nei bambini ed adolescenti l’epidemia sta producendo paura, ansia, spaesamento e anche lutto e dolore per la perdita di persone care. Tanti bambini e bambine hanno sentito che i loro nonni – con i quali spesso hanno una relazione speciale, intensa, quotidiana – sono morti o sono malati e in pericolo oppure sono lontani, irraggiungibili e forse a rischio. Sentono una minaccia molto concreta e violenta e, all’inizio della vita, questo li tocca nel profondo e li accompagnerà a lungo. Al tempo stesso stanno producendo doti reattive straordinarie.  Così, contemporaneamente, sperano che finisca presto e bene, vogliono capire, manifestano timori (a volte ritirandosi, chiudendosi, altre volte esprimendo rifiuto o fatica nel fare le cose più semplici a casa, altre volte con iper-reattività) e, al tempo stesso, mostrano grande resilienza, combattività, capacità cooperative nuove, responsabilità maturata in pochi giorni, inventiva nel far circolare idee e voglia di conservare i legami.

[4 ]http://fondazionefeltrinelli.it/covid19-la-domanda-giusta-da-farci-e-quale-scuola-vogliamo-riaprire/?fbclid=IwAR3BlwlH9GuE-glzgCdE-lY_MWfcYeRa-B2eZcBUpCAKlEDcFy4LXMSRVvc