Le imprese sono sempre più consapevoli che il territorio non è semplicemente il luogo che ospita gli impianti produttivi, ma è un insieme di soggetti – istituzionali, associativi, informali e liquidi – che partecipano alla sua catena di creazione di valore. In questo contesto, il modello di sviluppo italiano –  con la miriade di piccole e medie imprese legate al territorio – assume una valenza unica, declinando l’istanza relazionale non solo su scala globale (come dimostra la forza del made in Italy nel mondo), ma anche nella dimensione della comunità. Guardare al profitto e insieme alla società – che siano i dipendenti, i consumatori, il territorio, oppure le altre aziende e i centri del sapere – perché la società è un fattore di competitività. E’ quello che fanno molte imprese del made in Italy, che qui abbiamo definito coesive, rinnovando nel presente una tradizione dalle radici antiche. E’ il caso delle aziende che offrono forme di welfare aziendale o investono in attività di formazione per i propri lavoratori, instaurando un rapporto di forte fiducia e solidarietà reciproca che va oltre il semplice piano professionale. E’ il caso delle imprese che praticano responsabilità sociale nella gestione dei fornitori e  sono radicate nelle filiere territoriali e distrettuali (e che, pertanto, privilegiano l’utilizzo di subfornitori locali), rinunciando a delocalizzare in Paesi a più bassi costi di produzione. Sono le imprese pronte ad ascoltare i bisogni della collettività, cercando di promuovere benessere, direttamente (investendo nel campo della solidarietà, della cultura e dello sport) o indirettamente, rafforzando i legami con il mondo del non profit, gli enti locali, le associazioni di categoria. Sono le aziende impegnate nella tutela e nella valorizzazione dell’ambiente, che investono in processi di riconversione in chiave green delle proprie produzioni.

Dai legami di un’impresa con la comunità scaturiscono vantaggi competitivi, a conferma che coesione è competizione. Le nostre imprese coesive hanno registrato nel 2013 aumenti del fatturato, rispetto al 2012, nel 39% dei casi, mentre fra le imprese “non coesive” tale quota si ferma ben al di sotto, al 31%. Migliori anche i risultati sul fronte dell’occupazione: il 22% delle imprese coesive ha dichiarato un aumento degli occupati tra il 2012 e il 2013, contro il 15% delle altre. Lo stesso vale per fatturato totale e ordinativi esteri previsionali: la quota di imprese che dichiara un aumento per il 2014 di questi due indicatori è in misura significativamente maggiore tra quelle coesive rispetto a quelle non coesive, nell’ordine il 44 e 55% per le prime, il 39 e il 52% per le altre. A dimostrare il valore aggiunto della coesione c’è anche la relazione feconda con il Terzo Settore: le imprese che si relazionano con questo universo hanno registrato nel 2013 aumenti nel numero di occupati, rispetto al 2012, nel 22% dei casi, contro il 17% delle imprese che queste relazioni non le hanno volute o sapute costruire. E proprio dove la società è più vitale si costruiscono reti di protezione grazie alle quali la crisi morde meno. Se mettiamo in relazione le performance economiche con la coesione e il benessere del territorio, scopriamo una forte interdipendenza tra i tre ambiti. Osserviamo che anche dove la crisi è forte – se c’è un tessuto sociale coeso e vitale, un non profit presente e attivo –  i suoi effetti sono più blandi o, comunque, distribuiti in maniera più equa all’interno della comunità socio-economica. In questa logica di rete, si rivelano strategiche le relazioni con le istituzioni. Che  siano Enti locali o Camere di commercio, le realtà produttive che hanno saputo costruire rapporti solidi con tali istituzioni hanno registrato un aumento degli occupati nel 24% dei casi, contro il 15% delle imprese non coesive. Il 59% delle prime, inoltre, prevede aumenti di ordinativi esteri per il 2014, contro il 53% delle seconde.

È da qui, da questo modello di sviluppo fortemente legato alle comunità locali che bisogna ripartire con fiducia per ritrovare la via della crescita, perché, come visto, le tendenze in atto restituiscono piena centralità, nel dibattito sulla competitività, al ruolo della comunità e del territorio, che diviene sempre più una piattaforma sperimentale di produzione e di scambio − di merci, di competenze, di know-how, di capitale umano – dove crescita e coesione vanno di pari passo.  E’ verosimile pensare che, nell’immediato, i nostri territori esprimeranno nuovi problemi e nuovi equilibri legati al mercato del lavoro, ma anche reti e filiere produttive diverse e più snelle, dove network di produzione e di conoscenza più corti e ancora ben ancorati alla specifica dimensione locale si affiancheranno ad altri più lunghi rispetto al passato, intensificando così sia le esperienze di open innovation con strutture al di fuori dell’ambito produttivo locale, sia, ovviamente, i processi di internazionalizzazione “allargata”. Ma qualunque siano i nuovi modi di relazionarsi in spazi sempre più immateriali e virtuali, l’epicentro dello sviluppo del Paese rimane il territorio, dove dall’ibridazione dell’impresa con la comunità nasce qualità produttiva, benessere diffuso e coesione sociale: ciò che ci rende ancora oggi uno dei Paesi più avanzati al mondo.

Ricerca a cura di Unioncamere e Symbola