Una strategia per l’infanzia non può fare a meno di politiche coerenti e di lungo periodo, istituzioni e organismi di coordinamento e naturalmente di fondi dedicati. Fondi ordinari e di lungo periodo possibilmente, su cui poter contare stabilmente per programmare e realizzare servizi di qualità.

I Fondi europei avrebbero la caratteristica della stabilità e della programmazione necessari a pensare politiche di lungo periodo a favore della prima infanzia, ma purtroppo fino ad oggi poco si è investito su questa fascia di popolazione. Crescere al Sud, la rete di organizzazioni nata nel 2011 per la tutela dei diritti dei bambini e delle bambine delle regioni del Mezzogiorno, ha posto fin dall’inizio il tema di dedicare parte di queste risorse proprio sul rafforzamento delle politiche per la primissima infanzia.

In Italia, infatti, negli ultimi 2 anni la spinta a migliorare quantità e qualità dei servizi alla prima infanzia si è arrestata: l’indicatore di presa in carico dei bambini sotto i 3 anni, dopo anni di costante incremento, è diminuita a partire dal 2011, ed è ora al 13,5%. E l’obiettivo europeo di garantire ad 1/3 dei bambini da zero a 3 anni un servizio di cura si è allontanato. Basti considerare che il Fondo straordinario per i servizi alla prima infanzia nato con il Piano Nidi 2007-2009 è passato da 100 milioni nel 2009 a 0 nel 2014.

Nel 2012 un segnale positivo è arrivato dalla rimodulazione dei fondi europei che le regioni, soprattutto quelle del Sud, non erano riuscite a utilizzare, in parte riorientati a favore dell’infanzia. Con il Piano d’Azione per la Coesione (PAC) è stata infatti recuperata e riprogrammata una quota di risorse che a fine 2015 sarebbe stata persa a causa dei ritardi accumulati nell’uso dei fondi strutturali 2007-2013. Complessivamente il PAC ha riguardato 11,9 miliardi di euro recuperati dai programmi nazionali e regionali in ritardo di attuazione, riassegnati in favore dei singoli programmi. Uno di questi programmi è stato disegnato per migliorare l’offerta di servizi di cura per l’infanzia (e per gli anziani) nelle 4 regioni a obiettivo convergenza (PNSCIA). Si è trattato quindi di una grande innovazione, perché si è riconosciuta una priorità di intervento sulla prima infanzia.

Purtroppo l’attuazione di questo programma ha messo in luce anche le difficoltà a programmare e spendere queste risorse. A distanza di oltre due anni, infatti, poco o nulla è stato realizzato. Per capire meglio come siano effettivamente andate le cose, ripercorriamo le tappe principali del Programma “PAC-Cura”.

Nel maggio 2012, sono stati stanziati 400 milioni per la Campania, la Calabria, la Puglia e la Sicilia[1] per l’ampliamento dell’offerta complessiva dei servizi e il loro riequilibrio territoriale (avvio dei servizi in aree ove sono assenti o molto deboli). Ma anche per favorire il mantenimento dei livelli esistenti (coprendo le spese di gestione) laddove la riduzione delle risorse correnti ordinarie per le politiche sociali li avessero messi a rischio. A ciascun Ambito Territoriale o Distretto Sociosanitario (un’aggregazione di Comuni) sono stati  assegnati plafond finanziari commisurati alla dimensione degli utenti potenziali (quindi popolazione 0-3 anni).

Nell’ottobre 2012, la gestione del programma “PAC-Cura” è stata affidata al Ministero dell’Interno (in coordinamento con il Dipartimento Coesione e Sviluppo, il Dipartimento della Famiglia e il Ministero per le Politiche Sociali). I fondi sono stati poi ripartiti e assegnati direttamente ai Comuni  senza passare dalle regioni, per assicurare tempi certi ai trasferimenti, cioè senza blocco delle risorse per i limiti di cassa imposti a ciascuna Regione dal patto di stabilità interno. La definizione di obiettivi, regole, criteri, procedure dall’alto (al livello ministeriale) ha avuto già di per sé tempi lunghi: il documento che presenta il Programma e la ripartizione delle risorse del primo dei due ‘Riparti’ (120 milioni) è del marzo 2013, l’adozione dei Formulari e delle Linee Guida contenenti le indicazioni per presentare i Piani di intervento da parte dei 200 Ambiti/Distretti è del giugno 2013. E’ passato un lungo anno, quindi, dallo stanziamento delle risorse del PAC-Cura, nell’ambito del secondo aggiornamento del PAC del maggio 2012, e la definizione delle procedure per accedervi.

Poi si è passati alla fase della progettazione da parte dei Comuni, che hanno presentato i loro Piani di Intervento a fine 2013. L’istruttoria e l’approvazione dei Piani da parte del Ministero dell’Interno, avviata a febbraio 2014, è entrata nel vivo a settembre e si sta concludendo adesso, a fine 2014. Un processo quindi che ha richiesto complessivamente ben 30 mesi per utilizzare e iniziare a spendere la prima parte delle risorse. Trenta mesi sono il tempo di permanenza di un bambino (3-36 mesi) in un asilo nido, un’intera “generazione” che non ha potuto godere dell’intervento previsto.

Ma come ha affermato il prefetto Riccio, responsabile della gestione del Programma, il 20 novembre in occasione della Giornata per l’Infanzia, “adesso inizia la fase più difficile, quella di attuazione”. Questo vuol dire che i Piani di Intervento, cioè i progetti presentati, non sono ancora in fase di realizzazione. O meglio sono pochissimi i Piani che si stanno realizzando per quest’annualità.

Due esempi

Analizziamo due esempi tra i primi Piani di Intervento presentati ad essere approvati. Il Piano del Comune di Bari, il quinto ad essere approvato a giugno 2014, ha consentito di prolungare fino alle 18 il servizio per tutti i nidi comunali a partire dal 6 ottobre, con uno stanziamento di 2 milioni di euro. E ci si chiede in questo caso perché non si sia riusciti a garantire il prolungamento dell’orario dei nidi comunali già un anno fa. Le risorse erano state assegnate, la capacità tecnica del Comune di Bari per prolungare un servizio già funzionante non era un problema, perché si è dovuto attendere così a lungo? Un altro esempio, tra quelli virtuosi, è quello del Comune di Cosenza, il cui Piano è stato il quarto approvato, il 5 giugno 2014, ma che non è riuscito a realizzarsi in tempo per garantire il miglioramento del servizio nido nei tempi utili. Il progetto approvato ha infatti consentito ai 3 nidi comunali di essere ammodernati e offrire a 147 bambini, il 50% in più, un servizio a tempo pieno (8 ore 6 giorni a settimana) per l’annualità 2014/2015. Il servizio sarebbe dovuto partire il 1°settembre, ma a fine novembre, uno degli asili ancora non ha iniziato ad operare e gli altri due hanno appena riaperto (a settembre, infatti, è uscito un bando per l’affidamento del servizio di gestione dei nidi comunali per l’anno 2014/2015, vinto da  una delle 2 cooperative partecipanti, e l’affidamento è stato decretato il 24 ottobre).
 

Fino al 30 luglio 2014, su 200 Piani di Intervento presentati, solo 30 sono stati istruiti ed approvati e quindi la possibilità di realizzare interventi per i servizi alla prima infanzia nell’annualità in corso è sfumata. Poi da agosto e in misura maggiore da settembre, fino a fine novembre, vi è stata finalmente un’accelerazione che ha portato all’approvazione di tutti gli altri 170 Piani di Intervento (al 14 novembre, sono in realtà 165 i Piani approvati). Questo lavoro di istruttoria riguardava, ricordiamolo, solo i primi 120 milioni del Primo Riparto.

Questi ritardi hanno spiegazioni diverse: molti Comuni delle quattro regioni Obiettivo Convergenza mancano delle necessarie competenze tecnico-amministrative, ma anche di una cultura radicata su quanto sia importante per lo sviluppo del territorio e per la coesione sociale attivare servizi di qualità per la prima infanzia.  L’obiettivo del Programma, “potenziare i servizi di cura e socioeducativi per l’infanzia, con specifico riferimento agli asili nido e ai servizi innovativi e integrativi per la prima infanzia”, non sempre è percepito come una priorità dalle amministrazioni locali. Amministrazioni, inoltre, che avrebbero spesso bisogno di maggiore assistenza e supervisione da parte delle Regioni di appartenenza. Tuttavia anche i tempi “amministrativi” del Ministero dell’Interno si sono rivelati eccessivamente lunghi.

Ci auguriamo che il percorso compiuto, e la consapevolezza delle difficoltà incontrate, possa indicare la strada per superare gli ostacoli e rendere più efficiente ed efficace, ma soprattutto più rapido l’intero processo di assegnazione e spesa dei fondi. Il 7 ottobre scorso è uscito il documento che illustra regole e criteri di accesso al Secondo Riparto, per ulteriori 238 milioni di euro, sempre ripartiti con gli stessi criteri tra le 4 regioni e i 200 distretti beneficiari. In questo documento, si sottolinea la necessità di presentare i Piani di Intervento entro 90 giorni dall’adozione delle Linee Guida (che al momento non sono ancora adottate) e si afferma che l’istruttoria dovrà essere conclusa non oltre 60 giorni dalla presentazione dei Piani. Tempi certi quindi. E’ interessante notare, inoltre, che una parte delle risorse residue, 42 milioni ancora da assegnare, saranno utilizzate per l’assistenza tecnica. Alla luce di come sono andate le cose – ma anche a priori, vista la difficoltà di progettare e gestire servizi per l’infanzia efficaci e di qualità – ci si chiede perché non si sia pensato di garantire dall’inizio a questi Comuni adeguata assistenza tecnica. Si sarebbe forse risparmiato tempo prezioso.

Crescere al Sud, e le organizzazioni che si riconoscono nella rete, continueranno nei prossimi mesi a monitorare come e quando i fondi europei saranno spesi, chiedendo che anche nel nuovo ciclo di programmazione 2014-2020 le istituzioni nazionali e locali diano priorità all’investimento sull’infanzia dedicando risorse dedicate. I numeri, d’altra parte, sono da soli una denuncia del ritardo italiano. I dati sull’offerta comunale di asili nido e altri servizi per l’infanzia nelle 4 regioni coinvolte danno il senso della forte carenza e del profondo divario con le regioni del Centro-Nord: solo 2,1 bambini sotto i 3 anni su 100 sono ‘presi in carico’ in Calabria, 2,7% in Campania, 4,4% in Puglia e 5,6% in Sicilia. Ben lontano dall’obiettivo europeo del 33% e dalle regioni più virtuose in Italia – Emilia, Toscana, Valle d’Aosta – dove 1 bambino su 4 frequenta l’asilo nido o un servizio di cura pubblico o convenzionato. Nel Sud, i Comuni che garantiscono il servizio sono solo il 22%, ben lontano dal 76% dei Comuni del Nord-Est. Nelle regioni del Sud, la spesa pro-capite per servizi di cura rivolti ai piccolissimi (0-2 anni) è di circa 200 euro a bambino, mentre al Centro è di oltre 1.300 euro, e la media italiana è circa 800 euro.

In Italia, inoltre, l’asilo nido non rappresenta un diritto soggettivo, come la scuola dell’infanzia, ma è un servizio a domanda individuale. Ciò significa che una parte della spesa è a carico delle famiglie: nell’anno 2012/2013 a fronte di una spesa sostenuta dai comuni di oltre 1,2 miliardi di euro, i cittadini che usufruiscono del servizio hanno contribuito con 300 milioni, circa 1/5 del costo complessivo di 1,56 miliardi.

Nelle 4 regioni cui sono destinati i fondi del Programma PAC ‘Cura’, per l’anno 2012/2013, la spesa sostenuta dai Comuni è stata di 114 milioni di euro, mentre le rette pagate dalle famiglie sono state di 10,3 milioni, cioè l’8% del costo totale, per garantire il servizio a 16.500 bambini ‘utenti’.  Questi dati, oltre ad evidenziare il divario territoriale nella spesa per utente e nella compartecipazione delle famiglie, sono utili a contestualizzare l’ammontare non trascurabile del PAC Cura destinato ai servizi per l’infanzia, 400 milioni su tre annualità – che devono essere spesi al più presto, tra fine 2014 e il 2017.

Sono risorse cospicue, ma ancora insufficienti a garantire livelli efficaci di presa in carico. E soprattutto sono necessarie risorse di lungo periodo per consentire ai Comuni di programmare e realizzare servizi efficaci. In questo senso, è fondamentale che sia ripristinato dal Governo un piano di investimenti straordinario che consenta anche alle regioni del Sud di raggiungere l’obiettivo europeo del 33% di copertura dei servizi per la prima infanzia. E più in generale, occorre adottare un Piano di azione nazionale per la promozione del sistema integrato per l’infanzia, che contenga anche il piano di investimenti dedicato.

Siamo convinti che un’offerta adeguata di servizi per la prima infanzia di qualità, non solo contribuisca ad aumentare  i livelli di occupazione sul territorio, diretta e indiretta, ma rappresenti il miglior investimento in capitale umano e sociale, per la crescita e lo sviluppo inclusivo e sostenibile. E’ il miglior investimento per lo sviluppo cognitivo e relazionale dei bambini, molto più efficace di futuri interventi ‘riparativi’ che possono essere utilizzati per contrastare il disagio sociale o la dispersione scolastica nella fase dell’adolescenza. Gli asili nido, in territori deprivati e ad elevata povertà educativa (l’indice elaborato da Save the Children, pone le regioni che beneficiano del “PAC-Cura” agli ultimi posti[2]) dovrebbero invece costituirsi come fulcro di un intervento polifunzionale per i bambini e le famiglie del territorio, di sostegno educativo e sociale. Asili nido intesi come “hub” di servizi all’infanzia e ai genitori, per far spiccare il volo ai ragazzi del Sud.



[1] Per avere un termine di paragone, basti pensare che il Piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, varato con la finanziaria 2007, ha previsto un finanziamento statale, nel triennio 2007-2009, pari a 446 milioni di euro per l’incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da zero a tre anni in Italia.

[2] A maggio Save the Children ha presentato un indice per misurare le povertà educative, che include 14 indicatori selezionati da un Comitato Scientifico: la copertura dei nidi e servizi integrativi pubblici, la presenza del tempo pieno, della mensa nelle scuole, la dispersione scolastica e altri indicatori sulla fruizione culturale. Campania, Puglia, Calabria e Sicilia risultano le 4 regioni a maggior intensità di povertà educativa.