Anche se è  diventata una frase di rito non si può non rilevare con amarezza e preoccupazione che il problema del Sud, non risolto, sembra dissolto: il Sud è sparito dal dibattito culturale, politico e istituzionale. Siamo stanchi anche noi meridionali di affrontare il tema, come stretti da un senso di impotenza e di frustrazione, con un’usura psicologica paralizzante. Si fa fatica a cercare idee, strategie, obiettivi mobilitanti. Quel po’ che c’è, si gioca sui numeri del divario in termini di Pil e sull’altro, anzi sull’ultimo, evergreen : quello dei fondi europei non spesi e dunque, implicitamente di nuovo, sulle responsabilità. Diciamo subito che questa incapacità di spendere – e casomai di spendere bene – costituisce una circostanza che rende ben poco credibili le reiterate richieste di “aiuti” al Sud. Questa condizione  rischia  di indebolire qualsiasi ragionamento politico o di giustizia sociale. E soprattutto ci allontana dal pensare, e attuare, una strategia alternativa. Perché, come abbiamo già scritto nell’articolo introduttivo, la nuova programmazione 2014-2020 dovrebbe andare meglio della precedente?  Se non c’è una comprensione condivisa delle cause e dei vincoli che hanno condizionato il precedente sessennio; se non ci sono capovolgimenti e inversioni di rotta nelle impostazioni , il rischio molto concreto è di ritrovarci tra sei, sette anni punto e a capo, se non addirittura peggio.

Quali dunque le possibili  soluzioni?  Per ora, in assenza di una strategia condivisa, vedo anche io delle scelte tappa buchi che allontanano e sviano appunto la discussione principalmente sull’aspetto emergenziale (come gestire le risorse non spese) del problema, certamente importante ma non sufficiente a risolverlo.

Occorrerebbero invece delle innovazioni, scelte coraggiose come quella di puntare su pochi punti e priorità, provando a forzare  gli schemi immutabili dettati dalle procedure dell’accordo di partenariato. E’ certamente difficile, ma è anche profondamente sbagliato immaginare una massa indistinta di interventi senza una strategia, concreta, fortemente collegata alle esigenze dei territori, capace di scalfire la autoreferenzialità del sistema di offerta. Si potrebbe partire ad esempio dagli interventi sul sociale e sulla scuola, intesi come indispensabile premessa per lo sviluppo; dagli interventi per la ricerca; dagli interventi per la mobilità premiando le reti di connessione dentro il Mezzogiorno e tra il nostro Sud e il Mediterraneo, superando una situazione abnorme per cui i collegamenti aerei tra le città del Sud e i Paesi del Mediterraneo semplicemente non esistono; dagli aiuti, non indiscriminati (cioè non automatici) alle imprese premiando alcuni settori (a partire dall`agroalimentare ) e propensioni all`innovazione e all`internazionalizzazione. Sono poche scelte, ne restano fuori moltissime certamente importanti. Ma la scommessa è, appunto, quella di non lavorare ad elenchi onnicomprensivi, ma a cercare delle priorità, cioè a sviluppare una dimensione politica.

Un’altra innovazione, coraggiosa quanto la precedente, riguarda le procedure e i metodi di assegnazione delle risorse. E’ qui che il terzo settore può svolgere un ruolo attivo e propulsivo, perché ha tutte le potenzialità e le carte in regola per farlo. Nel non profit meridionale , certamente non esente da limiti e difetti, si sono sviluppate esperienze straordinarie e concrete; cresce una promettente classe dirigente che declina in modo compiuto la dimensione della responsabilità comunitaria.

E’ da qui che dovremmo ri-partire al Sud.  Finora si è guardato al terzo settore con timore. Lo abbiamo visto ad esempio con i PAC, la cui gestione è stata affidata direttamente agli gli enti locali, gli “ambiti”, pur riguardando attività e interventi propri del terzo settore. L’esperienza  della Fondazione CON IL SUD, come di tante altre Fondazioni ed enti erogatori, dimostra l’esatto contrario. Allora dipende dai vincoli delle procedure burocratiche che, pur con molti limiti, sono comunque più “rassicuranti” per la spesa pubblica?  L’auspicio è che si possa uscire presto dall’autoreferenzialità della Pubblica amministrazione, verso una concreta, e non solo annunciata, sussidiarietà. Più in generale, per la strategia, attendiamo di vedere nuovi segnali sulla strada dei fondi strutturali. Un cartello di inversione (ad U?) non sarebbe male.