I fondi devono essere utilizzati al Sud per uno sviluppo intelligente, autopropulsivo, che consenta ai territori di uscire dalla condizione di arretratezza economica  e sociale in modo stabile e duraturo. Il Mezzogiorno ha maggiore responsabilità, perché ha maggiori risorse a disposizione. A depauperarlo  è chi non fa il suo dovere. Con la nuova programmazione il terzo settore può essere protagonista di una economia nuova.

L’intervista al Sottosegretario Graziano Delrio[1]

 

I Fondi strutturali sono stati un grande flop per il Sud e il Piano Azione Coesione non ha prodotto l’effetto sperato. E’ un problema di scarsa volontà o incidenza della “politica”, di eccessiva burocrazia, di interlocutori inadeguati, di obiettivi sbagliati, o altro?

La Commissione Europea ha fatto una diagnosi che abbiamo condiviso: scarsa capacità amministrativa, programmazione di bassa qualità e carenza di piani di settore nazionali sono le principali ragioni di una spesa mancata o inefficace. Abbiamo lavorato con la Commissione per rafforzare  l’Accordo 2014-2020 tenendo conto di queste osservazioni, ad esempio prevedendo l’Agenzia per la coesione e i piani regionali di rafforzamento amministrativo, monitoraggi costanti, task force specifiche. Certo è che i mali individuati vanno al di là della gestione dei fondi Europei, ci riguardano come Paese.  L’Italia e il Mezzogiorno in particolare possono farcela se “mettono in sicurezza” i servizi fondamentali, quelli che cambiano la vita quotidiana delle persone, la scuola, il trasporto pubblico, i servizi idrici, sanitari, la raccolta rifiuti e se,  nello stesso tempo, compiono scelte strategiche puntando sullo sviluppo delle proprie eccellenze. Questi sono i due fronti su cui occorre lavorare: fattori “igienici” e fattori “strategici”. Le riforme della pubblica amministrazione, della giustizia, della scuola nascono per cambiare in meglio la vita dei cittadini italiani, a Nord e a Sud, e per dare  risposte efficaci, veloci, semplici. Lo stesso vale per le strutture di missione sul sistema idrogeologico e sull’edilizia scolastica.  D’altro canto, l’impegno del  Governo sulle crisi industriali per individuare uno sviluppo nuovo e nuovo lavoro, sulle infrastrutture materiali e immateriali, nei decreti come lo Sblocca Italia, disegna una strategia dentro la quale il Mezzogiorno è rilevante. In questo quadro, l’Accordo sui fondi europei può avere un importante effetto leva. Così non è stato fino ad ora e anche le risorse spese, che non sono poche,  37 miliardi in tutto il Paese, hanno avuto un effetto limitato. I fondi devono essere utilizzati al Sud per uno sviluppo intelligente, autopropulsivo, che consenta ai territori di uscire dalla condizione di arretratezza economica  e sociale in modo stabile e duraturo.

Le soluzioni proposte dal Governo contro il rischio di perdere buona parte delle risorse della programmazione 2007-2013 hanno suscitato reazioni diverse: dallo scetticismo per la forte accelerazione della spesa richiesta al Sud, alla preoccupazione di alcune regioni meridionali per il rischio di non usufruire più di tali risorse destinate per altri fini. Come risponde a queste due visioni critiche?

A me pare stiamo proponendo al Mezzogiorno di “sentirsi parte” in un disegno unitario del Paese, di essere protagonista. Le visite trimestrali e mirate del presidente Matteo Renzi danno il segno di questa attenzione. La “politica per il Mezzogiorno” di questo governo è fatta di costanti contatti, ogni giorno, su problemi concreti, è fatta di intese leali, di accompagnamento e  non di sostituzione delle amministrazioni e dei territori nella loro autonomia: dal facilitare il percorso burocratico per la palestra della scuola di Secondigliano che era inagibile, allo sbloccare le risorse per concludere il tribunale di Reggio Calabria, al sostegno ai contratti di sviluppo, ecco di cosa ci occupiamo.

L’accelerazione della spesa che abbiamo chiesto ad alcune regioni è un’esigenza dettata dal ritardo accumulato in questi anni: risorse che vanno perse se non spese. Negli ultimi mesi le performance sono migliorate, ma sono ancora a rischio 15 miliardi di euro da spendere entro il 2015 solo al Sud per la programmazione 2007-2013, mentre parte contemporaneamente la nuova programmazione che prevede, per il Sud,  22 miliardi solo di fondi europei. Il nostro Paese non può rinviare, ha bisogno adesso di investimenti e crescita.

Per questo abbiamo detto ‘basta’ alla cultura delle deroghe e delle proroghe, a Sud al Centro al Nord. Il Mezzogiorno ha maggiore responsabilità, perché ha maggiori risorse a disposizione. A depauperarlo  è chi non fa il suo dovere e per dieci anni dichiara che un’opera è strategica senza nemmeno farne partire le progettazioni. La riduzione del cofinanziamento, decisa dalla Commissione europea, corrisponde al tentativo di non far disperdere risorse nazionali alle regioni più in difficoltà nella spesa e il governo italiano ha risposto creando un contenitore, il Piano di Azione e Coesione, in cui fare confluire il minore cofinanziamento per destinarlo comunque ad interventi sui territori.

Si reputa ottimista per la nuova programmazione 2014-2020  o, secondo lei, si sarebbe potuto o dovuto fare qualcosa in più per ridurre le probabilità di esiti negativi al Sud?

La nuova programmazione funzionerà meglio e si avvantaggerà della cornice di un piano strategico per il Mezzogiorno. Il Sud  può diventare, ad esempio, la  prima area nazionale per infrastrutture digitali grazie al Piano strategico nazionale per la banda larga e ultralarga e alle notevoli risorse europee su questo tema. Se le cose cominciano a funzionare, il Mezzogiorno può cambiare faccia. Per questo ho parlato di una svolta come per la Germania riunificata. Se le cose previste accadono, ad esempio  il completamento della ferrovia in Sicilia,  la vita delle persone cambia.  Le nostre città del Sud hanno l’occasione – ed è questa, poi non ci sarà un’altra stagione così –  di investire in crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Hanno l’occasione per diventare città europee di  meravigliosa bellezza ora  offuscata dal troppo degrado. Se si fanno le scelte giuste, possono trasformarsi nelle città più belle d’Europa. Oppure pensiamo a Bagnoli, che può essere uno stupendo parco tecnologico e verde. Le idee a Sud potrebbero correre più veloci che a Nord.

Vede, anche in prospettiva, un possibile ruolo giocato dal terzo settore?

Certamente. Il terzo settore, specie in questi anni duri di crisi e di incertezza, ha contribuito in modo essenziale alla tenuta sociale del Paese e ha assunto un peso crescente nella struttura della nostra società. Di fatto è grazie al terzo settore se abbiamo una “riserva” di capitale sociale, ovvero ciò che si crea nella relazione tra le persone, tra le differenze, e che alimenta le nostre comunità. La programmazione 2014-2020 lo può vedere protagonista di una economia nuova, sostenibile, inclusiva e intelligente, per questo mi auguro possa esser partner in tante occasioni e  dare vita a progetti che abbiano gambe per camminare da soli.

E’ soddisfatto per il lavoro svolto finora con le Regioni del Sud?

C’è una buona collaborazione del Governo con le diverse autonomie, regioni, città, che costituiscono i corpi della Repubblica, perché lavoriamo intensamente insieme sul merito. Credo nell’autonomia dei territori – sono un federalista convinto – purché a maggiore autonomia corrisponda maggiore responsabilità, e comunque in un contesto che ci vede tutte parti solidali della stessa Patria. Con le regioni e i governatori del Sud c’è un rapporto franco e diretto, un buon rapporto.  Abbiamo impostato un’accelerazione alla spesa negli ultimi mesi che ci ha portato vicino ai target stabiliti. Al 31 dicembre 2014 le regioni convergenza avevano speso il 48% delle risorse, al 31 ottobre scorso siamo arrivati al 57,8%, ma temo il trend non sarà sufficiente per non disperdere parte dei fondi. La vera soddisfazione l’avremo  quando  sapremo davvero investire  e vedremo  migliorare la qualità di vita dei cittadini e delle cittadine, quando si sarà fatto tutto il possibile per creare sviluppo, benessere e riscatto per queste regioni e per il Paese. Sono consapevole delle difficoltà, ma la speranza si scala giorno per giorno, come una parete di montagna che da lontano sembra impossibile e da vicino rivela appigli e maniglie. Se ci diamo tutti l’obiettivo di arrivare in cima alla vetta, ci possiamo riuscire.

 

 


[1] Intervista a cura di Fabrizio Minnella