Un mese sì e un mese no, alla Costa Rica viene assegnato un premio in ogni angolo di mondo: in Italia l’ha avuto, negli ultimi due mesi, dall’Accademia Kronos, quale “Stato più verde del pianeta” e dalla Fondazione CerviaAmbiente (presieduta dal biologo marino Attilio Rinaldi) “per il suo primato mondiale di superficie protetta, che copre il 27% di tutto il Paese e per i suoi sforzi tesi a rigenerare le foreste e a sviluppare attività economiche sostenibili con l’ambiente”.
A quest’ultima cerimonia, nell’Hotel Aurelia di Milano Marittima, ho presenziato, traendo spunti diversi dagli intervenuti. In particolare credo di fare cosa utile ai lettori segnalando brani dell’intervento di Bepi Costantino, un giornalista e scrittore (ha firmato il volume “Costa Rica, il Paese più felice del mondo) che in quelle terre del Centro America, grandi quanto Emilia, Romagna e Toscana messe insieme, ha vissuto e lavorato (1982-85 e poi in vari altri periodi) come ingegnere e ricercatore specializzato nella meccanizzazione agricola.

 

Ben 500 mila differenti specie viventi. 1.500 differenti orchidee. 850 specie di uccelli, e delle sette specie di tartarughe marine a rischio di estinzione, quattro nidificano soltanto in Costa Rica. Questo è la repubblica costaricense oggi. Ma è sempre stata così? No, e qui la storia si fa interessante. Un secolo fa il 90% del territorio era ricoperto da foreste. Poi, verso gli anni Venti, iniziò la deforestazione alimentata dalla necessità di recuperare pascoli per il bestiame, terra da coltivare o per vendere pregiati legni tropicali. Dal 90% nel 1940 si era già scesi al 75%; nel 1961 al 53%; nel 1977 al 31%; nel 1983 al 26%; nel 1987 al 21%, il minimo assoluto. Quindi l’inversione che già nel 1997 aveva portato al 42%, e oggi vede più della metà del territorio nuovamente ricoperta da boschi.

Verso la metà degli anni Ottanta si creò un gruppo di opinione ambientalista, capeggiato da alcuni tecnici, ingegneri forestali, biologi, agronomi, che cominciò a prendere coscienza di problemi apparentemente slegati tra di loro. C’erano stati i primi grandi investimenti in centrali idroelettriche, finanziati soprattutto dalla Banca mondiale. Quelle risorse economiche servivano per realizzare le infrastrutture, la cui vita utile era prevista fra i 20 e i 30 anni, ma il Paese non aveva fondi per la manutenzione, per dragare i laghi a monte delle dighe, tirar fuori il fango che lì si accumulava. Un processo che avrebbe dovuto essere lento e che invece rapidamente divenne sempre più veloce, perché quanto più veniva tagliata la foresta a monte, tanta più terra veniva trascinata a valle dall’acqua. E così si fermarono impianti dopo appena 10-15 anni di vita, con perdite economiche spaventose.

In quell’epoca si disboscavano circa 50 mila ettari ogni anno, cioè la Costa Rica aveva uno dei più alti indici di deforestazione pro capite nel mondo. Gli effetti dannosi sull’agricoltura erano già evidenti, le coltivazioni che avevano bisogno d’irrigazione sempre più in difficoltà. Insomma i più competenti e illuminati presero coscienza che deforestare significava innanzitutto distruggere le fabbriche d’acqua.

La prospettiva cambiò totalmente nel giro di pochissimo tempo. Oscar Arias, premio Nobel per la pace nel 1987, nel suo primo governo (1986-1990) creò il ministero dell’Ambiente, il primo tra tutti i Paesi dell’America latina. Nacque una politica tesa a riconoscere e a valorizzare tutte le funzioni multisettoriali del bosco: produzione di acqua (e non solo di legno), salvaguardia della biodiversità, assorbimento di carbonio. Senza contare il valore incommensurabile della bellezza naturale in quanto tale: in quegli anni si incominciò a parlare di ecoturismo e la Costa Rica iniziò a vendere il suo prodotto migliore.

Ben presto i maggiori oppositori diventarono gli allevamenti di bestiame, che garantivano una rendita economica ancor più grande di quella ottenibile con la vendita del legname pregiato. Fu calcolato che il guadagno proveniente da un ettaro di foresta trasformato in pascolo era all’epoca di 50 dollari l’anno, o meglio questa era la cifra che lo Stato avrebbe dovuto offrire per convincere i proprietari terrieri a non disfarsi del bosco. Nacque così la prima generazione di “Pagamento di servizi ambientali”, un’idea nuova, all’epoca rivoluzionaria, poi ripresa anche da altri Paesi: lo Stato paga il privato affinché fornisca un servizio all’ambiente cioè alla collettività. In quegli anni non si poteva andare tanto per il sottile: c’era la necessità di avviare una politica dal forte impatto positivo e il governo Arias ci riuscì. La seconda generazione di “Pagamento di servizi ambientali” servì per aggiustare un po’ il tiro, distinguendo per esempio tra chi si impegnava a conservare il bosco e chi invece riforestava. E ormai si parla di terza generazione, con differenziazioni tra conservazione dei boschi, riforestazione, salvaguardia delle riserve d’acqua, protezione della biodiversità, ecc.

Bello, vero? Sì, ma in Costa Rica si dice che “non si può fare il cioccolato senza il cacao”, ovvero: chi paga? Dove trovare i fondi per finanziare il “Pagamento dei servizi ambientali”? Non avendo accise come quelle che abbiamo in Italia sulla benzina, fu introdotta una tassa del 3,5% su tutti i prodotti petroliferi, ma soprattutto fu creato il Fonafifo, ossia il Fondo nazionale di finanziamento forestale, l’ente che sovraintende ai maggiori programmi di riforestazione e che soprattutto ha il compito istituzionale di trovare fondi da destinare a questo scopo. Il principio è semplice, l’applicazione è più complessa. Paga chi trae beneficio dalla presenza e dallo sviluppo delle foreste. Quindi viene sempre stornata una parte dei fondi destinati ai bilanci della sanità e del turismo, e poi il Fonafifo svolge anche azioni puntuali di sensibilizzazione. Per esempio, per produrre un litro di birra sono necessari nove litri di acqua. La grande birreria, a valle, utilizza l’acqua proveniente dal bacino a monte. Paga regolarmente i suoi consumi, è chiaro, ma chi la gestisce forse non ha la piena consapevolezza del valore di quel bene. Gli si spiega quindi che la qualità e la quantità di quell’acqua dipendono dalla gestione del territorio, dalla tutela dei boschi che li circondano. E allora l’utente è ben felice di assicurare la protezione di quell’ambiente, senza peraltro doversi relazionare direttamente con i singoli proprietari terrieri ma attraverso un unico ente, il Fonafifo. Lo stesso dicasi per le centrali idroelettriche, le aziende agricole, ecc.

Se poi andiamo sul sito del Fonafifo, troviamo un’opzione molto interessante: “Limpia tu viaje”, ossia “Pulisci il tuo viaggio”. Si calcola rapidamente la quantità di CO2 imputabile al viaggio del singolo turista a secondo del luogo di provenienza e con un versamento di pochi dollari ci si assicura l’assorbimento di quell’anidride carbonica attraverso la messa a dimora di nuove piante. E’ quanto fanno regolarmente la presidenza della Repubblica, i ministri, i giocatori della nazionale di calcio e tanti altri ogni volta che viaggiano, e pagano di tasca propria! Insomma, sistemi concreti in mano a gente seria. E’ questa la ragione per cui ho scelto di donare totalmente i diritti d’autore del mio libro al Fonafifo.

Il sistema di “Pagamento dei servizi ambientali” gioca un ruolo fondamentale nel programma “Costa Rica carbonio neutrale”: entro il 2021, bicentenario dell’indipendenza degli Stati centroamericani dalla Spagna, la Costa Rica vuole diventare il primo Paese al mondo a emissioni di CO2 pari a zero. Significa continuare a ridurre la quantità di gas effetto serra rilasciati nell’atmosfera e assorbirne sempre di più attraverso la fotosintesi clorofilliana dalle piante fino a raggiungere il pareggio di bilancio.

Ma ancora più interessante è che questo programma investe solo un aspetto di una politica di respiro ben più ampio. Nel 2008 è stata approvata una legge chiamata ENCC (Estrategia nacional de Cambio Climatico) che prevede interventi in vari settori partendo da un comune denominatore: i cambiamenti del clima sono ormai una preoccupante realtà. Per contrastare questo fenomeno, oltre il 95% dell’energia elettrica è già prodotta da fonti rinnovabili e con nuove installazioni di pale eoliche si punta a
superare il 100%.

Abbiamo accennato al programma “Costa Rica carbonio neutrale” da realizzare entro il 2021. Il coordinamento generale di questo programma è affidato a “Paz con la naturaleza”, ossia Pace con la natura, un progetto varato nel 2007 dal secondo governo Arias. Il nome è fortemente significativo: l’uomo deve interrompere la guerra contro la natura, lo si può fare solo mutando in maniera profonda le proprie abitudini. E allora tutte le istituzioni pubbliche vengono regolarmente monitorate: si misurano i consumi di energia, di acqua, di carta, si controlla la raccolta differenziata dei rifiuti, eccetera e i risultati vengono pubblicati due volte all’anno in maniera da incoraggiare sempre più i comportamenti virtuosi. Allo stesso tempo “Paz con la naturaleza” sovrintende a specifici programmi formativi rivolti ai bambini delle scuole elementari, nella consapevolezza che lì inizia la costruzione del Paese di domani. Rodrigo Gomez, presidente dell’InBIO (Istituo nacional biodiversidad): “A volte sento dire che dobbiamo costruire un mondo migliore per i nostri figli. E’ esattamente il contrario: abbiamo bisogno che i nostri figli siano migliori con il mondo, migliori di quello che siamo stati noi”.

(Bepi Costantino)

Tratto da Giannella Channel