Dal Sud al Nord del Paese, si moltiplicano le buone pratiche di restituzione di beni del patrimonio pubblico al valore d’uso delle comunità urbane e territoriali. E’ un fenomeno ampio, spesso sostenuto, ma con difficoltà di ogni genere – normative, tecniche ed economico-finanziarie – con la prospettiva di sostenere l’integrazione delle risorse espresse dalle giovani generazioni e dalle Comunità locali e supplire, nell’epoca della crisi, alla deflagrazione dei sistemi di welfare e delle politiche pubbliche nazionali centrate sui valori delle Comunità urbane.

Il tema del Valore d’uso del patrimonio pubblico disponibile, in particolar modo di quello dei Comuni italiani, è una questione di rilevanza strategica nazionale, dopo circa vent’anni di “assedio” e sguardi miopi, a cui hanno contribuito i vincoli della “Spending Rewiew” e l’esigenza di far “cassa” delle Autonomie locali, che hanno lasciato spazio solo ad un’accezione “economicista” dei Beni pubblici.

Il primo Tavolo Nazionale “Patrimonio pubblico, Valorizzazione, Innovazione”, promosso dalla Fondazione Fitzcarraldo, durante i lavori di ArtLab2015 a Lecce lo scorso settembre, a cui hanno partecipato tutti i principali attori pubblici e privati nazionali che hanno nella propria Mission la gestione e valorizzazione del patrimonio pubblico, ha innescato un condiviso ribaltamento di senso, che restituisce centralità al valore d’uso, sociale, culturale, di Comunità, ai beni del Patrimonio pubblico. A questa tappa è seguito, in ideale continuità di approfondimenti, l’evento promosso ad ottobre da Fondazione CON IL SUD, Fondazione Sicilia insieme alla seconda edizione del Nuove Pratiche Fest, ideato da Clac e Pesce Volante,NUOVE PRATICHE CON IL SUD. Spazi da non perdere che ha rafforzato ulteriormente la necessità di un cambiamento di rotta inequivoco al concetto di Valore dei beni pubblici.

In entrambi gli appuntamenti sono emerse nuove prospettive di senso, ma anche alcune questioni rilevanti per il futuro e, almeno sulle due tra le principali, vorrei esprimere il mio punto di vista.

Cosa è una politica pubblica per il sostegno al Valore d’uso del beni pubblici?

Certo, servono risorse finanziarie dedicate, magari alimentate dalla sostituzione di costi di manutenzione ordinaria e dal “mantenimento” del valore patrimoniale dei beni che solo l’uso di immobili concessi può garantire, così nessuno potrà affermare “ecco, siamo alle solite, si chiedono danari pubblici!”. Ma prima delle risorse finanziarie una politica pubblica di sostegno dovrebbe produrre effetti generativi, di liberazione di risorse creative, facilitare la mobilitazione di energie, semplificare l’opera di chi si avventura nella gestione di beni del patrimonio pubblico per finalità “ibride” sociali e culturali.

Semplificare!? Ahi!! Si è a lungo dibattuto, nel Tavolo di Artlab se fosse o meno necessario configurare nuove norme che facilitino sistemi di concessione per valorizzare i beni del Patrimonio pubblico per la promozione di Innovazione Sociale e Culturale. Molti, hanno espresso diffidenza verso questa esigenza. Sarà, ma viste le “buone pratiche” da Nord a Sud in corso d’opera, e la fatica incrementale di chi opera nella gestione di beni concessi, continuo ad essere convinto della necessità di nuove regole e strumenti per nuove finalità. E’ anche una questione tipicamente “culturale”. Difficile far passare concetti nuovi e nuove finalità con regole e strumenti pensati per altri scopi. Un cambiamento di orizzonti e di senso funziona se ha rapide chances di operare anche nella pancia delle macchine amministrative degli enti locali, in cui è diffusa proprio l’inerzia tipica di chi “rispetta le regole”. Così come un cambiamento di senso negli strumenti di garanzia finanziaria per l’accesso al credito, di chi opera nella gestione sociale e culturale di beni pubblici patrimoniali, si potrà avere soltanto se si attiva un nuovo strumento di garanzia dedicato per l’accesso al credito piuttosto che restando nei criteri esclusivi della “Bancabilità” delle iniziative e dei soggetti proponenti. Lo possono spiegare benissimo numerose associazioni di grande qualità (e anche con i “numeri” di bilancio a posto…) che non riescono ad attivare fideiussioni persino sulle anticipazioni di finanziamenti pubblici per iniziative di gestione di beni patrimoniali.

La normativa nazionale, che pure nelle maglie trova qualche effettiva possibilità di azionare nuove esperienze di gestione, è finalizzata ad altri scopi e prevalentemente alla Valorizzazione economica dei beni immobiliari pubblici. Lo sa bene Fondazione CON IL SUD, che, tra tutti gli attori in campo nazionale e meglio, come una talpa silenziosa ed autorevole, agisce producendo anche innovazione degli strumenti d’uso disponibili.

Sono ancora convinto che un nuovo Istituto Concessorio finalizzato ai processi di valorizzazione attraverso l’Innovazione sociale e culturale, renderebbe la vita più facile a chi intende operare e generebbe molteplici occasioni, oggi frenate in avvio dalla passività di chi dice “non si può fare!” o limitate ai casi eccezionali in cui si unisca un grado inusuale di sensibilità pubblica da parte della politica locale, pubblici funzionari con voglia di sperimentare oltre alle buone qualità di proposte di gestione.

La direttiva comunitaria n.24/2014 sui “Partenariati d’Innovazione”, ancora in via di recepimento dall’Italia, può essere un buon terreno per la definizione di nuove modalità di concessione d’uso finalizzata più flessibili, più orientate alla sperimentazione e agli effetti generativi sociali e culturali ed identitari sulle Comunità territoriali, magari, per dirla con le apprezzate parole del Dott. Reggi, Direttore di Agenzia del Demanio, in grado di concepire che sia possibile concedere un bene pubblico ad una iniziativa di impatto sociale e culturale, anche o indipendentemente dai costi economici del suo mantenimento se i benefici sociali sono di valore superiore.

Buone pratiche e poi? Come si costruisce una storia di cambiamento

Proprio da quest’ultimo concetto, che, ahimè, è tutt’altro che banale da molti anni a questa parte, vorrei porre l’esigenza della emancipazione delle “buone pratiche” di Innovazione sociale e culturale da sé stesse.

Non è più il tempo solo di “raccontarsi” e di epica dell’Innovazione. Una  generazione di talenti sta giocando una parte fondamentale della propria vita nella gestione di spazi pubblici e, per quanto mi riguarda, produce tra le più rilevanti infrastrutturazioni sociali e culturali di valore nelle nostre città, modificando gli stessi paradigmi della produzione culturale e della capacità delle comunità di rispondere alla crisi. Ma restano schiacciati dal valore epico delle proprie esperienze, spesso fatte di sacrifici personali, poco reddito e di vuoti di comprensione della rilevanza degli aspetti politici, amministrativi e imprenditoriali delle proprie scommesse. Per dirla con le parole di Reggi, con la stessa difficoltà di misurare i benefici di Comunità e le esternalità positive sulle Città in cui operano.

Il tema della misurazione degli impatti di queste iniziative è all’ordine del giorno.

Lo richiede il parlamento Europeo, con la recente “verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa (2014/2149(INI))” agli Stati membri di allestire un sistema d’indicatori d’impatto e di risultato dedicati per “misurare” gli effetti delle iniziative di valorizzazione del patrimonio culturale.

La scommessa è questa, dotarsi di nuove competenze a tutto tondo, interrogarsi sulla sostenibilità “sociale e culturale” delle proprie esperienze e definire il valore degli elementi comuni tra esse, per renderli oggettivi e farne Storia.

Forse, con questo impegno, si diraderanno molte nebbie sulla strada da percorrere e si aprirà una vera Route 66, per l’innovazione sociale e culturale nell’uso di spazi pubblici, ad attraversare l’Italia.