Ha preso il via da un interesse verso le tradizioni artigianali della sua terra – la Sardegna – la prestigiosa carriera nel mondo dell’artigianato e del design di Roberta Morittu che negli anni ha guidato un’azienda di successo, ricoperto ruoli di rilievo nell’ambito di progetti di cooperazione sull’artigianato in Marocco e Algeria e ricevuto il Compasso d’oro, il più antico ma soprattutto il più autorevole premio mondiale di design.

La sua esperienza testimonia che l’artigianato può rappresentare una preziosa opportunità di realizzazione professionale per i giovani, purché ci si accosti a questo settore con rispetto, umiltà ed un desiderio profondo di conoscenza. Un serio processo di valorizzazione e rilancio dell’artigianato non può prescindere, infatti, da una profonda conoscenza della tradizione, presupposto fondamentale per la rielaborazione e reinterpretazione di un oggetto. Ne è convinta Roberta Morittu, che abbiamo intervistato.

Puoi presentarti e ripercorrere in breve la tua esperienza nel campo nell’artigianato e del design?

Ho iniziato ad appassionarmi all’artigianato lavorando nella formazione professionale. Volevo fare la fashion designer e ho iniziato a dedicarmi agli studi in questo ambito. In Sardegna c’è un settore oggi in crisi, quello della tessitura tradizionale e dei ricami. Ho pensato: perché non utilizzare queste competenze nel mondo della moda? Mi sono così avvicinata all’artigianato e per 13 anni ho lavorato presso un ente seguendo corsi di formazione nei settori artigianali tradizionali: tessitura, ricamo, cestineria, filigrana. Avevo 23 anni, circa 30 anni fa. Un altro scenario rispetto a quello attuale.

Dopo questa esperienza insieme ad una collega designer abbiamo avviato una nostra azienda, Imago Mundi, che produceva oggetti di design realizzati in Sardegna da artigiani locali, prevalentemente cestineria e tessitura. Ci siamo dedicate a questo per circa una decina di anni, vendendo i nostri prodotti ai negozi e partecipando a importanti fiere internazionali. Ci siamo così collocate in un settore medio alto con un nostro prodotto artigianale, made in Italy, con un richiamo alle tradizioni e con un design contemporaneo.

Questa nostra esperienza di reinterpretazione dell’artigianato locale attraverso il design ha suscitato l’interesse anche delle istituzioni locali e abbiamo avviato una collaborazione con la Regione Sardegna.

Hai lavorato anche in Marocco. Raccontaci di questa esperienza.

Per sei anni mi sono dedicata ad un progetto di cooperazione con il Marocco consistito in un lavoro di ricerca, catalogazione e archiviazione dei saperi artigianali del Mediterraneo. Si è trattato di un progetto molto lungo, con una forte valenza sociale e che mi ha aperto a nuovi scenari. Ho lavorato infatti con cooperative di donne e con ONG che seguivano gruppi svantaggiati. Insieme a queste donne sono stati realizzati alcuni prodotti in linea con le loro competenze, come ad esempio una linea di collane fatte ad uncinetto o la realizzazione di nuovi tessuti.

Il concetto era quello di conoscere le caratteristiche tecniche e stilistiche di una determinata cultura. L’intento era quello di avviare un lavoro di ricerca  e conoscenza e sulla base di questo intraprendere poi con la comunità locale un lavoro volto alla produzione di oggetti rispettosi della tradizione ma al tempo stesso adatti ad essere inseriti nel mercato contemporaneo.

Ricordiamo che l’Unesco ha inserito l’artigianato locale nel patrimonio culturale immateriale dei popoli riconoscendogli così un forte valore culturale che va rispettato e mantenuto.

Come accordare tradizione e innovazione per valorizzare oggi il sapere artigianale?

Prima di tutto, a mio avviso, ci vuole consapevolezza. E la consapevolezza deriva dalla conoscenza. Un lavoro, se frutto di una reale conoscenza e competenza tecnica e stilistica porta all’elaborazione di un oggetto che in qualche modo rappresenta quel territorio, oggi. Questo è un principio che va sempre applicato: prima di tutto la conoscenza. Ecco perché è importante conservare e tramandare i saperi artigianali.

A tuo avviso in Italia si sta facendo abbastanza per preservare e tramandare le tradizioni artigianali?

Credo non sia stato fatto abbastanza per la tutela di alcuni saperi e per questo oggi sono quasi in estinzione. Bisogna mettere in campo strumenti per preservare la memoria di situazioni e persone che stanno scomparendo: quando muore una donna di 80 anni con lei va via un pezzo di storia, si perde una serie di competenze, informazioni tecniche e quelle caratteristiche che poi rappresentano l’anima di un oggetto. In qualche modo bisogna costruire uno storytelling di questi settori.

Eppure se da un lato gli antichi mestieri rischiano di scomparire, dall’altra si registra oggi un ritrovato interesse dei giovani verso questo settore…

E’ vero. All’inizio del 2000 parlare di artigianato italiano era un’eccezione, una rarità. Era un settore considerato fuori moda, poco interessante. Oggi, al contrario, vengo contattata da molti studenti che decidono di incentrare le loro tesi di laurea proprio sull’artigianato. Indubbiamente c’è molto più interesse rispetto ad alcuni anni fa.

Di recente ho sentito il presidente di Confartigianato che spiegava alla radio che l’apprendistato sta dando importanti risposte e sta tornando ad essere uno strumento usato dalle botteghe artigiane per dare continuità alla loro attività. Tuttavia, a mio avviso, si dovrebbe prestare una maggiore attenzione alla conservazione della memoria, dei saperi e del vissuto. Servirebbero delle politiche più incisive in questo senso e si dovrebbe trattare il tema dell’artigianato in modo meno “folcloristico” rispetto a come spesso si tende a fare. Molte volte, infatti, questi argomenti diventano delle letture un po’ nostalgiche e non è questo che può interessare i giovani. Sarebbe invece necessario uno studio serio condotto in maniera scientifica, tecnica e antropologica. Questo dovrebbe essere alla base di un lavoro di reinterpretazione: si può rielaborare solo qualcosa che si conosce.

Come si può valorizzazione l’artigianato senza conoscerne le tecniche ed i segreti? Bisogna umilmente mettersi nella condizione di conoscere una tradizione per poi poterla reinterpretare e avvicinare all’estetica contemporanea. Alla base di ogni serio lavoro di valorizzazione c’è un lavoro di conoscenza, altrimenti si perdono i tratti specifici e quelle caratteristiche uniche e ben definite che rendono un prodotto anche più competitivo sul mercato. A mio avviso in Italia questa attenzione è spesso mancata. Bisogna però dire che la Regione Sardegna sta ora cercando di creare un circuito di competenze artigiane che rispondono a dei requisiti di qualità.

Un passo molto importante sarebbe poi l’introduzione di un marchio di qualità che tuteli le produzioni locali da ciò che arriva da fuori e dalle imitazioni.

 Alessandra Profilio